Ho ritrovato oggi, 23 marzo 2020, tra le carte che Gianfranco Laghi ha lasciato all’Accademia del tarocchino, alcune righe di Anẓlén, proprio sul nostro gioco e l’esercizio mentale in età avanzata. Erano rimaste inedite e abbiamo il piacere di pubblicarle ora, a vent’anni di distanza e a tre anni dalla scomparsa dell’autore (28 marzo 2017).
Lorenzo Cuppi
Stè mò da sénter
14 novembre 1999
Fra i tanti consigli per affrontare serenamente la vita, destinati alla “terza età”, non ha ancora trovato il posto che merita il gioco del “Tarocchino bolognese”, più noto come il gioco con le carte lunghe.
Complesso, ma non sofisticato, è un gioco che pare fatto apposta per impegnare le qualità accumulate con l’intelligenza e l’esperienza. Una ginnastica per la memoria, un pungolo per la fantasia, uno stimolo all’accrescimento della propria abilità. Gioco negato per oziosi e neghittosi.
Come imparare e addestrarsi? Niente paura, niente patemi. Non occorrono doti straordinarie, basta averne voglia.
C’è l’Accademia del Tarocchino bolognese che organizza incontri e tornei, e svolge attività propedeutica, ch’al srêv pó cómm dîr che insegna l’abbiccì.
A giocare il “Tarocchino bolognese”, as tén luntân la nójja, la tristazza, eli aflizión. An i é pió tänp ne raṣån pr andèr dal dutåur
Su dunque. Non è difficile. As cminzéppia còn l’arcurdèr che biṣåggna difander al bégghet e scavzèr la “Granda”. Il resto vien pian piano.
Quando, a tre quarti di gioco, si sarà giunti a ricordare che al cavâl ed denèr non è stato ancora giocato, non si dimenticherà più dove sono stati messi gli occhiali.
Bån divertimänt!
Angelo Caparrini