L'invettiva di Lollio

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Il maggior testo sul gioco rinascimentale dei Tarocchi è L'invettiva contra il gioco del Tarocco del ferrarese Flavio Alberto Lollio, pubblicato a Venezia nel 1550, e la Risposta di Vincenzo Imperiali. I due manoscritti sono alla biblioteca di Ferrara. Lollio descrive una mano sfortunata, e maledice il Tarocco e chi l'ha inventato. Imperiali gli risponde a tono, esaminando la stessa mano, e lodando il Tarocco come gioco di grande bellezza. Gustiamoli cercando di rispondere a queste domande: quanti giocatori erano? quante carte per giocatore? quali sono le carte da Ronfa? com'era la fase d'apertura?

Lollio:

Ecco che s'incomincia a dar le carte:
la prima man ti fa una bella vista
Tal che tu tien l'invito, & lo rifai:
Quelle che vengon dietro, altra faccenda
mostrano haver: né più dei casi tuoi
Tengon memoria alcuna: onde tu stai
Sospeso alquanto: & di vada: quell'altro
Il qual par che il favor lor si prometta,
Ingrosserà la posta: allhor trafitto
Da vergogna, dolor, d'invidia, e d'ire
Ten vai a monte, col viso abbassato.
...................Vengon dapoi quell'altre
Due man di carte, hor liete hor triste: & quando
L'ultime aspetti che ti dian soccorso
Havendogli invitata già dal resto,
ti vedi arrivare (oh dolor grande)
carte gaglioffe da farti morire,
totalmente contrarie al tuo bisogno.
Onde di stizza avvampi; e tutto pieno
di mal talento, rimbrottando pigli
Lo avanzo delle Carte, che son venti.
Queste t'empien le mani, & buona pezza
ti dan travaglio e briga, in rassettare.
Dinar; Coppe; Baston; Spade; e Trionfi.
Però che ti convien, ad una, ad una,
metterle in ordinanza...

Imperiali:

Et cominciate il giuoco à dar, con bello
Ordine, tal, che nella prima vista
Fate l'invito in atti e in gesti snello.
Le seconde non seguono la pista
Della Primiera: onde assai più modesto,
Dite Vada con voce bassa e trista.
Tosto il compagno s'avede di questo,
Che v'han piantato: et con altera fronte
Ben ch'abbia il peggio, pur lo fa del resto.
Però che spera di cacciarmi a monte,
Ma Voi, che siete già si innanti entrato,
Spingete avanti de' dinari il monte.
Havendo speme, che vi sia prestato
Dalle due man siguenti tal favore,
Che l'abbiate ogni modo guadagnato.
Ecco la terza man, che n'esce fuore,
Et porta ira e dolor: però che poco
V'arreca, che allegrar vi faccia il core.
Qui si comincia accendere un gran fuoco,
Quivi le carte à volo se ne vanno;
Qui si bestemmia, et maledice il Giuoco.
La quarta man vi da l'ultimo affanno,
Che date à cinque Cartaccie di morso,
Che d'un sol punto aiuto non vi danno.
Così privo di speme, et di soccorso,
Vi lasciate i denar, ch'erano in mostra,
Nè vi vale alla furia andar di corso.

Riprendiamo Lollio dove l'avevamo lasciato:

Però che ti convien, ad una, ad una,
metterle in ordinanza, & far di loro,
come farebbe il buon pastor, che havesse
di molti armenti, apparecchiando mandre
diverse per ciascun. Quindi s'hai quattro
o cinque carte da Ronfa, tu temi
che non ti muoia il Re, con le figure:
Onde si strugge il cuor, spasma la mente,
Stando in bilancia fra speme, e timore.
Quello è lo isfinimento èl creppacuore,
Che sei sforzato à tener per tuo specchio
Certe cartaccie che ti fan languire:
E come se tu fossi un'Orinale,
Servir convienti à gli altri due compagni,
Rispondendo, à ciascun giuoco, per giuoco:
E se per ignoranza, ò per errore,
Da in una Carta, che non vada à verso,
Tu senti andar le voci infino al Cielo.
Né ti pensar che quivi sian finite
Le pene tue: bisogna tener conto
d'ogni minima Carta, che si giuochi,
Altramente ogni cosa va in ruina.
Però tu brami spesso la memoria
Di Mitridate di Cesare ò di Ciro.
Et s'egli avien tal hor c'habbi un bel giuoco,
T'andrà si mal giocato, che ne perdi
Una dozzina ò due: tal hora tutti.
Quante volte non puoi coprire il Matto?
Onde, mal grado tuo, spogliar ti senti
Dèl buon c'havevi: & sembri la cornacchia
Che restò spennacchiata infra gli uccelli,
Allhora se tu fossi uno Aristide,
Un Socrate, un Zenone, un Giobbe, un fasso,
Tu spezzeresti il fren della patienza,
stracciaresti i Tarocchi in mille pezzi,
Maladicendo il primo che ti pose
Mai carte in mano, e t'insegnò à giocare.
Dove lasso quel numerar noioso
D'ogni Trionfo, ch'esca fuori? o quanto
Fastidio hai tu di questo, che non puoi
Pur ragionar, pur dire una parola:
Anzi servar convien maggior silenzio
Che non si fà alla Predica, o alla Messa.
Ei mostrò ben d'aver poca faccenda,
Et esser certo un bel cacapensieri
Colui, che fu inventor di simil baia:
Creder si dè, ch'ei fusse di pintore
Ignobil, scioperate, e senza soldi,
che per buscarsi il pan si mise a fare
Cotali filastrocche da putti.
Che vuol dir altro il Bagatella, èl Matto,
Se non ch'ei fosse un ciurmatore, e un barro?
Che significan altro la Papessa,
Il Carro, il Traditor, la Ruota, il Gobbo;
La Fortezza, la Stella, il Sol, la Luna,
e la Morte, e l'Inferno; e tutto il resto
Di questa bizaria girando l'esca,
Se non che questi havea il capo sventato,
Pien di fumo, Pancucchi, e Fanfalucche?
Et che sia ver, colei che versa i fiaschi,
Ci mostra chiar ch'ei fosse un ebbriaco;
E quel nome fantastico, e bizarro,
Di Tarocco, senz'ethimologia,
Fa palese à ciascun, che i ghiribizzi
Gli havesser guasto, e storppiato il cervello.
Questa squadra di ladri, et di ribaldi,
Questi, che il volgo suol chiamar Trionfi,
M'han fatto tante volte si gran torti,
Si manifeste ingiurie, ch'io non posso
Se non mai sempre di lor lamentarmi:
........................ onde ho perduto.
per colpa lor, di molti, et molti scudi...

Ribatte Imperiali:

Lollio, ho veduto ciò che scritto havete,
Nella collera immerso, contra il Giuoco;
Et quanto del Tarocco vi dolete...
Spesso v'odo cantar gli altri trofei
Del giuoco alla Thoscana, e alla Villotta,
Come gran beneficio degli Dei...
Che bisogno ha di mandare tale armento,
Se la sinistra è sol capace stanza,
per venti, e trenta, et la metà di cento?
Se quel ch'ammazza un Re, più punti avanza,
E' ben dritto; perciocchè a tale effetto
scarta due carte, per fare questa danza.
Ma voi dite ch'è pur troppo disfatto,
Quando un bel giuoco vi va in tutto male
Et ch'alli due servir siete costretto
Come se foste proprio un'orinale,
Dando una carta a questo, un'altra a quello,
et solo a Voi restar spennate l'ale...
Ditemi un poco, il di, che per rivale
Pigliaste questo giuoco, non giocaste
Col Podestà, e con Giulio Cardinale?...
Ma il Tarocco, se ben è un giuoco antico,
Non è per invecchiar, cotanto è bello,
Giuoco da far, et non disfar l'amico...
Ma il giuoco del Tarocco è da Signori,
Principi, Re, Baroni, et Cavalieri,
per questo è detto il giuoco degli honori.
Non si è trovato alcun, che si disperi
Per la perdita, nè pe'l guadagno ancora
Altri si trovano, che vadano altieri,
Anzi in tal giuoco l'un l'altro honora,
Procura del pregio aver si suole,
Se non è alcuni, che l'avaritia accora...
Lo invito a dar le Carte fà il prim'atto;
C'ha maggior Ronfa, co' i Trionfi insieme,
Riman vincente dell'invito fatto.
Chi perde il primo, nel secondo ha speme,
D'haver suoi danni alquanto ristorati,
Ma spesso avien che questo anchor lo preme.
Et questi sono gli honori accoppiati,
A' quai si rende una certa honoranza,
Secondo i patti da prima fermati.
Il terzo segue, secondo l'usanza
Il valor de' Tarocchi, et le figure
Chi riman con più punti, tutto avanza.

Sembra che fossero tre giocatori, con venti carte a testa. C'è da chiedersi se avessero già ridotto il mazzo, e come, e quante carte scartasse il mazziere.
Dopo la distribuzione delle prime cinque carte, puntavano, facevano cioè . Gli altri accettavano dicendo , o si ritiravano mandando la mano e quindi perdendo quanto eventualmente già puntato. Se nessuno invitava e tutti dicevano , si giocava la mano senza ulteriori rilanci. Questo rito si ripeteva alla seconda distribuzione di carte.
Le carte di Ronfa erano probabilmente le Figure, il cui incasso dava un punteggio. Siamo sicuri che vi fosse il punteggio di mazzo uguale all'attuale, ma forse v'era anche un punteggio di combinazione.
Gli Onori invece sembrerebbe che fossero combinazioni di carte cui venivano attribuite vincite dirette in denaro.
[Girolamo Zorli - Il Tarocchino Bolognese - Arnaldo Forni Editore - Bologna, 1992]